30 GENNAIO 2019
IL RISCHIO SISMICO PER I LUOGHI DI LAVORO
Di Gianluigi Maccabiani
Sovente assistiamo a obiezioni di vario tipo, relativamente alla necessità o meno di valutare la sicurezza sismica degli ambienti di lavoro, o addirittura anche alla necessità di valutarne semplicemente il rischio sismico mediante indicatori sintetici.
Con una prima obiezione si tende a escludere dall’insieme dei "rischi professionali" propriamente detti il "rischio sismico" legato alla sicurezza degli ambienti di lavoro.
Con un secondo gruppo di obiezioni, si esclude la necessità di valutare il rischio sismico invocando le usuali motivazioni secondo le quali "l'evento sismico non sarebbe prevedibile", "il datore di lavoro non potrebbe fare nulla contro il suo manifestarsi", "ogni abitazione, ufficio e luogo pubblico dovrebbero essere assoggettati verifica", eccetera.
Per quanto riguarda la prima obiezione, è necessario ribadire che il rischio sismico sui luoghi di lavoro deve sempre essere valutato (anche solo mediante indicatori sintetici). Ogni lavoratore ha il diritto di sapere se il rischio per la sua incolumità, conseguente ad un evento sismico, è "molto alto", "alto", "basso". E di sapere, a seconda del livello di rischio, se sia necessario approfondire le verifiche e se ci siano le possibilità di mitigare tale rischio.
E' noto che la necessità di verificare la stabilità e solidità dei luoghi di lavoro è stabilita nell'articolo 63, con il richiamo diretto all'allegato IV. Le interpretazioni diverse fanno riferimento all'articolo 33, che individuerebbe un legame stretto tra i “rischi professionali” e “i compiti del Servizio di Prevenzione e Protezione”, come se tutto ciò che non riguardasse i compiti del Servizio di Prevenzione e Protezione non costituirebbe un “rischio” da valutare; tuttavia, paradossalmente, è lo stesso art. 33 che riporta, al comma 1, lettera “a”: << 1. Il Servizio di Prevenzione e Protezione dai RISCHI PROFESSIONALI provvede: a) all'individuazione dei fattori di rischio, alla VALUTAZIONE DEI RISCHI e all'individuazione delle misure per la SICUREZZA e la salubrità DEGLI AMBIENTI DI LAVORO, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell'organizzazione aziendale; … >>.
Perciò, indipendentemente dalla definizione di rischio professionale (che in ogni caso nell'accezione generale e verso la piena tutela dovrebbe includere tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori che possono insorgere durante l'esercizio obbligato della loro attività), l'articolo 33 NON ESCLUDE dai compiti del Servizio di Prevenzione e Protezione la necessità di VALUTARE LA SICUREZZA DEGLI AMBIENTI.
Peraltro, anche alla lettera “q” delle definizioni si legge: q) «valutazione dei rischi»: “valutazione globale e documentata DI TUTTI I RISCHI per la salute e SICUREZZA dei lavoratori presenti nell'ambito dell'organizzazione in cui essi prestano la propria attività”.
Resta quindi priva di significato, nella sostanza e nella forma, l'idea di voler tenere separato il rischio sismico dagli altri rischi.
Resta quindi, in via subordinata, una questione di lana caprina, in definitiva, stabilire il “come produrre” il documento di valutazione della sicurezza sismica e/o il documento di valutazione del rischio sismico. Se all’interno del DVR oppure no. “I fabbricati devono essere stabili e possedere una solidità che corrisponda al loro tipo d’impiego ed alle caratteristiche ambientali” (art. 63, Allegato IV, Dlgs 81); e proprio le norme tecniche definiscono le azioni ambientali (neve vento e sisma) contrapposte alle azioni antropiche (i carichi di esercizio).
Semmai, potrebbe essere vantaggioso proprio il contrario: anziché scomodare gli ingegneri strutturisti e le loro parcelle per procedere con la completa “valutazione della sicurezza dei fabbricati” (che devono essere costantemente stabili e sicuri nel tempo, appunto), si potrebbe di fatto procedere preliminarmente con la “valutazione dei rischi” legati al terremoto, e dopo aver ottenuto un livello di rischio sismico “basso” o “molto basso”, scomodando soltanto ricerche documentali e raccolta di informazioni da parte dell'RSPP, si potrebbe omettere la successiva e costosa “valutazione della sicurezza”. Ma probabilmente queste differenze sono di stretta competenza degli ingegneri strutturisti e faticano ad essere comprese da chi non è del mestiere.
VALUTAZIONE DEL RISCHIO SISMICO
Operazioni attraverso le quali, dopo aver esaminato tutti gli aspetti che determinano la pericolosità del sito, la vulnerabilità del fabbricato e la presenza di persone e cose, è possibile, anche in forma sintetica, pervenire a indicatori di rischio (ad es. "molto alto", "alto", "medio") attraverso i quali il gestore dell'opera è messo nelle condizioni di valutare la necessità o meno di specifici approfondimenti finalizzati a valutare i livelli di sicurezza nei confronti degli eventi sismici.
VALUTAZIONE DELLA SICUREZZA NEI CONFRONTI DEL RISCHIO SISMICO
Operazioni complesse che individuano i livelli di sicurezza, attraverso i metodi stabiliti nelle Norme Tecniche per le Costruzioni vigenti e che consentono, di gestire gli esiti delle verifiche pianificando le modalità e i tempi di eventuali interventi di riduzione del rischio sismico.
Per quanto riguarda il secondo gruppo di obiezioni, è facile affermare che le considerazioni svolte da chi ritiene che "l'evento sismico non sarebbe prevedibile", o che "il datore di lavoro non potrebbe fare nulla contro il suo manifestarsi", derivano dalla non puntuale conoscenza della materia in termini tecnici, e chi lo sostiene non può di certo essere un ingegnere strutturista. In tal senso, è possibile evidenziare rapidamente le argomentazioni che si fondano su basi errate, come indicato di seguito.
“Un ente di vigilanza, di conseguenza, non può contestare al datore di lavoro di un’azienda che il suo DVR non sia rispondente a quanto previsto dalla normativa vigente […] perché, non potendo escludere un terremoto in qualunque zona del nostro paese […].“
L’ente può invece certamente contestare il mancato aggiornamento della valutazione di solidità e stabilità nei confronti delle azioni ambientali. I terremoti non possono essere “esclusi”, certo, ma i loro effetti si possono “mitigare”, come prevede la legge, con prevenzione e protezione, fino a garantire un livello di sicurezza accettabile: i livelli di sicurezza sono stabiliti matematicamente dalle norme in modo convenzionale per tutto il territorio nazionale, a seconda della posizione geografica di ogni sito, e corrispondono (per un edificio “adeguato”, ad esempio) ad una probabilità di superamento non superiore al 10% in 50 anni. Probabilità maggiori, o periodi di riferimento inferiori corrispondono a edifici i cui livelli di sicurezza vanno tenuti sotto controllo.
“[…] Se la struttura che ospita i posti di lavoro è stata realizzata conformemente alle norme tecniche vigenti come risulta dalle evidenze progettuali, realizzative ed autorizzative ed è periodicamente sottoposta a verifiche per accertare il mantenimento dei requisiti di legge (stabilità, solidità, ecc.) [sarebbe tutto in regola]”.
Questa affermazione rientra nel caso dell’obiezione 3 (vedi https://www.tecnolabingegneria.it/miniblog/obbligo-di-valutare-la-sicurezza-sismica in fondo alla pagina): << Ai fini della sicurezza strutturale sarebbe sufficiente verificare la presenza del certificato di agibilità e/o di collaudo statico >>. L’obiezione è infondata: si tratta infatti del "mutamento" delle condizioni rispetto all'agibilità e al certificato di collaudo. Se il livello di rischio si modifica durante la vita della costruzione, allora il datore di lavoro è tenuto a rivolgere la sua attenzione ai nuovi livelli di rischio, così come indicati necessariamente nel Dlgs 81/2008 e nel DVR aziendale. Due sono i principali mutamenti intervenuti: 1) a seguito del terremoto emiliano è stata ufficializzata con una legge dello stato (L 122/2012) la vulnerabilità dovuta alle carenze nei collegamenti; 2) nel corso degli anni la classificazione sismica dei territori a subito modifiche in base a nuovi studi e conoscenze.
“Il datore di lavoro, va ricordato, è sempre soggetto agli obblighi degli articoli 63 e 64 ed allegato IV p. 1.1.1 e, pertanto, deve procedere periodicamente alla verifica dello stato della struttura che ospita il suo personale. se a seguito di queste verifiche periodiche affidate a personale specializzato, vi fossero palesi segnali di degrado/instabilità delle strutture, allora è necessario intervenire per mantenere l'ambiente di lavoro sicuro“.
Se l’accertamento del mantenimento dei requisiti di legge comprende anche il tener conto delle nuove classificazioni sismiche e dei nuovi studi e conoscenze, aggiornando quindi la valutazione della sicurezza nei confronti di tutte le azioni ambientali conosciute (oppure, in via semplificata, conducendo preliminarmente la valutazione del rischio sismico), allora sì, questa frase è corretta.
“Se così fosse, qualunque tipo di rischio esogeno dovrebbe rientrare tra quelli da analizzare nel DVR individuando le conseguenti misure da adottare pur essendo nella concreta impossibilità di individuare la probabilità del suo verificarsi“.
E invece c’è proprio una legge dello stato (DM 14/01/2018, norme tecniche per le costruzioni) che stabilisce matematicamente (seppur convenzionalmente) la “probabilità del verificarsi” di quegli eventi sismici che provocano il superamento di livelli di sicurezza prestabiliti, in funzione principalmente dello stato limite di salvaguardia della vita umana. Questa affermazione rientra infatti nel caso dell’obiezione 2: << L’incertezza del fenomeno sismico renderebbe non valutabili in modo scientifico le probabilità del manifestarsi di un terremoto e i suoi effetti sui fabbricati >>. L’obiezione è infondata: non si tratta di eventi incontrollabili e imprevedibili ma di fenomeni che possono essere studiati e valutati con i metodi di calcolo codificati dalle leggi vigenti. Il terremoto ha una scala di intensità: quello di cui ci si deve preoccupare nel DVR è quello che riguarda la “salvaguardia della vita delle persone" e che ha (per definizione) la probabilità di accadimento superiore al 10% in 50 anni per quel determinato sito sul territorio italiano, e che ricade tra quelli che pur "poco probabili" (10%<p<50%) devono essere presi in considerazione per via del "danno grave" a cui corrisponde il superamento dello stato limite di salvaguardia della vita degli occupanti.
“Né, tantomeno, deve essere presa come una verità processuale assoluta l’unica condanna nota (ma solo in primo grado di giudizio) del datore di lavoro e del RSPP per il crollo di un capannone a seguito del terremoto dell’Emilia e la contestuale assoluzione del progettista, del direttore dei lavori e del collaudatore della struttura realizzata ante 2003“.
Personalmente condivido questa affermazione (nel senso che in secondo e terzo grado la situazione potrebbe evolversi diversamente), ma segnalo, nel principio, che al di là della singola situazione processuale che potrebbe contenere sfaccettature specifiche, la prima delle motivazioni della condanna è dovuta alla “omessa valutazione della sicurezza nei confronti del terremoto”. E questo a conferma del fatto che proprio per l’assenza della “valutazione del rischio sismico” nessuno ha capito se avrebbe dovuto attivare o meno la successiva valutazione della sicurezza di stabilità e solidità del capannone nei confronti delle azioni ambientali.
“Comunque, se passasse l’idea di valutare anche tutti i rischi esogeni, allora non si dovrebbero adeguare alle nuove NTC solo i capannoni industriali di tutto il paese ma anche tutte le altre strutture che ospitano luoghi di lavoro e ciò senza distinzione alcuna tra, ad esempio, i lavoratori in un capannone di un’azienda metalmeccanica del bergamasco ed i lavoratori dell’agenzia delle entrate della sede di Roma oppure quelli di un centro commerciale di Palermo“.
Non si dovrebbero “adeguare” (errore grossolano). Si dovrebbe “valutare la loro sicurezza strutturale”… E infatti è proprio così. A Bergamo, Roma e Palermo: al di là dei luoghi di lavoro di cui stiamo parlando, regolati per fortuna dal Dlgs 81/2008, la legge prevede obblighi specifici ed espliciti, ma non in modo generalizzato per tutte le costruzioni, ma nello specifico proprio in quelle per cui gli occupanti cadono nella responsabilità di altri, dove cioè non è possibile per l’occupante scegliere autonomamente di evitare quel luogo o di rinforzarlo. E cioè (oltre ai luoghi di lavoro dove ciò accade e di cui stiamo argomentando) proprio per gli edifici pubblici (come il citato centro commerciale di Palermo, rilevante in quanto classe d’uso III) o l’impianto sportivo (III) di Canicattì, e per quelli emergenziali (in quanto in classe d’uso IV): non esistono "obblighi" giuridici di "adeguare" i fabbricati alle nuove norme tecniche. Ma, per i cosiddetti "edifici strategici e rilevanti" (scuole, ospedali, municipi, centri commerciali, impianti sportivi, ecc.) la legge (Opcm 3274/2003) ha stabilito l'obbligo preciso e inderogabile (scaduto ormai il 31/12/2013) di "valutare la sicurezza" nei confronti delle nuove norme tecniche, senza alcun obbligo di "intervenire" materialmente con rinforzi. Tuttavia, appunto, proprio in base all'esito delle valutazioni della sicurezza, il loro "datore di lavoro" (il preside, il direttore sanitario, il sindaco, e il gestore del centro commerciale o dell’impianto sportivo, rispettivamente) è messo nelle condizioni di "pianificare" e organizzare eventuali interventi di mitigazione del rischio. Proprio come dovrebbe accadere per i luoghi di lavoro, in cui il singolo lavoratore non può rifiutarsi di operare e non può mettersi in sicurezza autonomamente, ma si deve affidare al buon operato del datore di lavoro. Ecco che quindi l'obbligo non è quello di "adeguare" immediatamente i fabbricati alle nuove norme, ma di stare "al passo" con esse, rivalutando le condizioni di sicurezza in base alle nuove conoscenze acquisite dal progresso e dalla tecnica, che è esattamente quanto scritto nel Dlgs 81/2008.
“Cosa fattibile, non c’è dubbio, ma in un arco di tempo di molti anni, con l’emanazione di appositi provvedimenti legislativi e con una serie di agevolazioni fiscali che ne rendano concretamente possibile l’attuazione”.
Frase condivisibile, ma che tradisce chi l’ha scritta: vorrei banalmente ricordare che lo Stato ha già messo in campo la restituzione in 5 anni dell’80% delle spese sostenute, fino ad un massimo di 96.000 euro ad unità immobiliare per ciascun anno solare (96.000x5=480.000 euro, per i datori di lavoro più attenti, che hanno pianificato sin dal 2017, fino al 2021), pertanto, la “serie di agevolazioni fiscali” esiste già, per chi ha intenzione di tenere sotto controllo la la sicurezza degli stabili secondo le regole del Dlsg 81.
“In conclusione, la valutazione del datore di lavoro consiste nell’accertarsi che la struttura che ospita i lavoratori sia conforme alle norme tecniche per le costruzioni vigenti al momento della sua realizzazione e così quanto in essa contenuto (impianti, scaffalature, soppalchi, ecc.) mantenendo il tutto in perfetta efficienza. In concreto, però, non c’è alcuna valutazione da fare. il datore di lavoro non ha alcuna possibilità di incidere sulla probabilità del suo manifestarsi [riferito all’evento sismico]”.
Questa affermazione è infondata, perché oltre a rientrare nella già citata obiezione 3 (relativa alla conformità alle norme tecniche del tempo di costruzione, e alla presenza di agibilità o collaudo), rientra nell’obiezione 1: << Il terremoto rientra fra quei rischi esterni per i quali il datore di lavoro non ha alcuna possibilità di incidere sulla probabilità del loro manifestarsi >>. L’obiezione è infondata perché una volta reso noto il livello di rischio (attraverso la redazione di un semplice DVR), il datore di lavoro può pianificare le contromisure da attuare, a partire dalla eventuale necessità di far valutare la sicurezza sismica del capannone, e proseguendo con le contromisure, pianificando tempi (ad es. 5 anni, 10 anni, ecc., a seconda del livello di sicurezza ottenuto dai calcoli che solo gli ingegneri strutturisti conoscono) e modi (eliminazione delle principali carenze e labilità, fissaggio o rinforzo delle scaffalature e degli elementi non strutturali, ancoraggio dei tamponamenti, ecc.) per l’eventuale miglioramento dei livelli di sicurezza.
“Quindi, trattandosi di un evento, in genere, catastrofico, non essendoci un riferimento normativo che dica se fare qualcosa e cosa fare, la soglia di accettabilità del rischio è impossibile da determinarsi”.
Ancora una volta la mancanza di preparazione tecnica induce nell’errore più banale: chi conosce la materia e se ne occupa per professione sa che l’evento sismico non si definisce in questo modo, ma si deve “valutare” appunto in base alle norme vigenti, sia nelle azioni che negli effetti, con precise regole matematiche, racchiuse in un unico e preciso riferimento normativo, che indica esattamente “se” e “cosa” fare, qualitativamente e quantitativamente, in base agli esiti della valutazione della sicurezza, stabilendo matematicamente ad esempio la cosiddetta “vita nominale residua”, anche denominata “tempo utile di intervento”, al fine di mantenere sotto controllo i livelli di sicurezza in termini di probabilità di superamento dell’evento per “salvaguardia vita” nell’arco del periodo di riferimento espresso in anni.
Mi permetto anche di aggiungere una considerazione finale: nel caso estremo in cui la mia interpretazione fosse completamente sballata, mal che vada potrei aver indotto l'1% dei datori di lavoro e degli RSPP a procedere inutilmente con una (pur non onerosa) valutazione del rischio, oppure addirittura con una onerosa valutazione della sicurezza. Se invece l’interpretazione sbagliata fosse quella di chi pone le obiezioni, circa il 99% degli RSPP e dei datori di lavoro sarebbe stato indotto erroneamente nel “non fare alcuna verifica”, all'italiana. A ciò corrisponderebbe a mio avviso una certa responsabilità.